giovedì 26 aprile 2018

REGALO IN BUSTA? MEGLIO IN SCATOLA!!!

Con l'arrivo della primavera arriva anche la stagione dei matrimoni. Sempre più coppie preferiscono ricevere regali in busta per coprire in parte le spese del matrimonio…
Anche noi abbiamo portato agli sposi un regalo in busta...ops scusate...abbiamo preferito portarlo in scatola!

Vi voglio dare un'idea per non presentarvi agli sposi con un'anonima busta.
Vi servirà una scatola regalo per bracciali o orologi come quella che vedete nella foto precedente. Potete riciclarne una che avete ricevuto o acquistarla facilmente in qualche bazar.
Vi serviranno poi:
  • filo dorato (o di un colore a vostra scelta)
  • adesivi per decorare (cuori, farfalle, lettere, ecc...)
  • perle con foro abbastanza largo per infilare le banconote
  • nastro per decorare la scatola
  • cartoncino colorato (o fantasia)
  • ….e ovviamente i soldi che volete regalare agli sposi!!!!

La realizzazione è semplicissima…
Ritagliate il cartoncino colorato della misura esatta del coperchio della scatola. Fate dei piccoli fori tanti quanti sono i fili che volete far "penzolare" dalla scatoletta aperta. Infilate i fili e fissateli dietro il cartoncino con un poco di colla (io ho usato la colla a caldo). Incollate il cartoncino al coperchio.
A questo punto decorate i fili con gli adesivi e le perle e inserite le banconote arrotolate.
All'interno della scatola scrivete un pensiero di augurio...saprete voi cosa piacerà di più ai vostri sposi...qualcosa di romantico o di spiritoso o solo le loro iniziali con la data o il vostro nome…
Infine decorate la scatola con un bel nastro o come la fantasia vi suggerisce (fiori, fiocchi, stelline, cuori...) e chiudete la scatola facendo attenzione a sistemare bene i fili perché non si attorciglino tra loro…
Quando gli sposi solleveranno il coperchio tanti soldini scenderanno come pioggia per loro!
VIVA GLI SPOSI!!!
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giovedì 12 aprile 2018

PREGHIERA SEMPLICE DI SAN FRANCESCO


Signore, fa di me
uno strumento della Tua Pace:
Dove è odio, fa che io porti l'Amore,
Dove è offesa, ch'io porti il Perdono,
Dove è discordia, ch'io porti l'Unione,
Dove è dubbio, ch'io porti la Fede,
Dove è errore, ch'io porti la Verità,
Dove è disperazione, ch'io porti la Speranza,
Dove è tristezza, ch'io porti la Gioia,
Dove sono le tenebre, ch'io porti la Luce.
Maestro, fa che io non cerchi tanto
Ad esser consolato, quanto a consolare;
Ad essere compreso, quanto a comprendere;
Ad essere amato, quanto ad amare.
Poiché, così è: Dando, che si riceve;
Perdonando, che si è perdonati;
Morendo, che si risuscita a Vita Eterna.
(San Francesco)



Qualche curiosità...
Una piccola ma pregnante pubblicazione di Christian Renoux fa luce su uno scritto che tanto è diffuso.
Renoux cerca di risalire al momento in cui è apparsa tale preghiera: essa compare per la prima volta nel numero di dicembre 1912 de La Clochette, una piccola rivista, espressione della Ligue de la Sainte-Messe, una pia associazione avente come finalità la diffusione della partecipazione alla Messa, soprattutto domenicale, tra i cattolici. Il fondatore di tale associazione fu un sacerdote della Normandia, Esther Auguste Bouquerel (1855-1923) il quale, in qualità di redattore de La Clochette, nel dicembre del 1912 pubblicò la nostra preghiera sulla medesima rivista definendola una Belle prière à faire pendant la Messe, probabilmente composta da lui stesso.
La preghiera «Signore, fa' di me uno strumento della tua pace» è stata portata nel 1912 alla conoscenza di 8.000 abbonati a La Clochette, tra i quali c’era il canonico Louis Boissey (1859-1932), anche lui appassionato alla preghiera per la pace ed editore di un bollettino, gli Annales de Notre-Dame de la Paix. Proprio in questo bollettino nel gennaio del 1913 pubblicò la preghiera stampata già nel 1912 da Bouquerel, lasciando invariato il titolo, Belle prière à faire pendant la messe, e indicandone l’origine, cioè La Clochette. Tramite questa seconda diffusione la preghiera viene conosciuta dal marchese della Normandia, Stanislas de la Rochethulon et Grente, presidente del Souvenir Normand, un’associazione che vantava tra l’altro legami con il Vaticano.
Proprio grazie a questi legami nel dicembre 1915 il marchese Stanislas de La Rochethulon inviò al Segretario di Stato vaticano, il cardinal Gasparri, una serie di preghiere per la pace da trasmettere al papa. Il 24 gennaio 1916 il cardinale rispose al marchese sottolineando l’interesse del papa soprattutto per le toccanti invocazioni al Sacro Cuore, in effetti consistenti nientemeno che nella Belle prière à faire pendant la messe con alcune varianti. Il 20 gennaio 1916 l’Osservatore Romano pubblicò la preghiera, con una traduzione italiana, preceduta dal titolo Le preghiere del «Souvenir Normand» per la pace, nella quale vennero introdotte altre varianti rispetto all’originale del 1912. Mediante l’Osservatore Romano la nostra preghiera ottiene una grande diffusione e viene ripresa da La Croix che la pubblica il 28 gennaio 1916. L’interesse per questa preghiera crebbe e monsignor Alexandre Pons la pubblicò assieme a una sua conferenza definendola «une prière très ancienne».
Christian Renoux affronta il problema dell’attribuzione a san Francesco. Tutto cominciò quando il cappuccino Étienne Benôit da Parigi pubblicò la preghiera dietro a una immaginetta intitolandola Prière pour la paix; la pubblicò dopo il 1916, probabilmente dopo il 1918, dietro a un'immagine raffigurante san Francesco che sorregge la regola del Terz’Ordine. Nella stessa immaginetta viene scritto che questa preghiera riassume meravigliosamente la fisionomia esteriore del vero seguace di san Francesco. Ciò non meraviglia se si considera che proprio in quel tempo sempre più Francesco e Assisi diventavano simbolo di pace.
Nel 1945 la chiesa di Ginevra diffonde una nuova liturgia con al termine un’appendice di preghiere ecumeniche tra cui compare per il Medio Evo la nostra preghiera definita del XIII secolo e opera di Francesco d’Assisi.
Negli Stati Uniti e nel Canada conobbe una diffusione enorme, e alcuni francescani canadesi affermano che sarebbe stata letta nel 1945 al momento della conferenza di San Francisco da cui nacque l’ONU. Il primo febbraio 1946 il senatore Hawkes la presentò al Senato di Washington definendola come una «preghiera di san Francesco» e precisando che fu scritta nel 1226. Ormai tutti i testi attribuiscono tale preghiera a san Francesco e nel 1952 il pellegrinaggio di Pax Christi a Roma e Assisi adotta tale preghiera. Dagli anni cinquanta le edizioni francescane e DACA in Assisi iniziano a diffondere la nostra preghiera in varie lingue sulle cartoline e in questo modo si è letteralmente sparsa in tutto il mondo, senza che i francescani fossero allarmati da questa falsa attribuzione a san Francesco d’Assisi.

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giovedì 5 aprile 2018

VITTI 'NA CROZZA

Questa canzone è ritenuta la canzone siciliana più conosciuta fuori dalla Sicilia e spesso viene identificata con la Sicilia, anzi viene considerata l'inno della Sicilia. Le versioni cantate sono tantissime a cominciare dalle più antiche come quella che trovate nel video che segue di Michelangelo Verso degli anni 1950, alla versione di Modugno, Rosanna Fratello, Franco Battiato, 
Gianna Nannini, Laura Pausini, vari complessi e gruppi folkloristici etc. 
Ricercando nei libri di canzoni siciliane quali le raccolte di Alberto Favara (Salemi 1863-1923), etnomusicologo, di Lionardo Vigo (Acireale 1799-1879), poeta e filologo, di Giuseppe Pitrè (Palermo 1841-1916), scrittore e folclorista, Francesco P. Frontini (1860-1939), musicista e compositore, Salvatore Salamone Marino (Borgetto 1847-1916), folclorista ed altri, non vi è traccia di questa canzone.
Sulle origini di questo canto vi sono varie interpretazioni.
La più comune è che questa canzone nella parte testuale sia una poesia popolare e che il maestro Franco Li Causi abbia scritto la partitura. Certo c’è da considerare il fatto che abbia potuto scrivere il pezzo musicale ex novo, oppure può averlo scritto riportando in partitura un motivo cantato da altri, oppure ancora il pezzo musicale finale può essere un mix di una canto ascoltato oralmente e di una sua fantasia o interpretazione personale.
Il figlio del maestro Li Causi e il figlio del tenore Verso riferiscono che intorno agli anni 1950 il regista Pietro Germi venne in Sicilia per iniziare le riprese del film “Il cammino della speranza”. Ad Agrigento Germi incontrò il Maestro Franco Li Causi al quale chiese di comporre “un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Il maestro fece ascoltare alcune sue composizioni ed altre di natura popolare che non soddisfarono il regista. Durante alcune riprese del film effettuate a Favara in un momento di pausa un minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recitò a Germi una poesia popolare, i cu versi sono: “Vitti ‘na crozza supra nu cannuni / fui curiusu e ci vosi spiari / idda m’arrispunniu cu gran duluri / muriri senza toccu di campani.”
Al regista Germi, i versi piacquero a tal punto da chiedere a Li Causi di musicarli. Il maestro riascoltò la poesia dal minatore prendendo appunti anche di una traccia musicale per come l’aveva decantata il minatore e rielaborando il tutto anche per la sua grande esperienza musicale scrisse la partitura di “Vitti na crozza”. La canzone forma la colonna musicale dei titoli iniziali del film. 
Il film ebbe un buon successo e la canzone cantata nel film venne ascoltata da moltissime persone in tutta Italia e divenne molto conosciuta tanto che il maestro Li Causi registrò un vinile a 78 giri con la voce del tenore Michelangelo Verso e la partecipazione del coro del quartetto Francesco Li Causi, con la chitarra del fratello del maestro Salvatore Li Causi, che fa da accompagnamento al mandolino solista (Francesco Li Calzi) ed al basso suonato da uno strumentista dell’orchestra Angiolini; l’incisione avvenne a Torino negli studi della Cetra. Il disco ottenne un invidiabile successo in tutta Italia e il tenore ebbe grande fama tanto da essere ingaggiato subito da managers americani che lo fecero esibire nei migliori teatri americani, anche con altri tenori italiani quali Beniamino Gigli.
Diversa è la testimonianza che da dei fatti Alfieri Canavero, operatore di seconda macchina nello stesso film di Germi: "Abbiamo iniziato le riprese ad Agrigento, nelle miniere di Zolfo. Ricordo che i minatori erano in sciopero da 2 giorni. Erano sottoterra, nudi, per il caldo insopportabile. Stavano cantando "Vitti 'na crozza" quando la troupe scese giù con il regista Pietro Germi. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell'aria. Con quella registrazione iniziammo il film".
Altre persone affermano che la canzone “Vitti na crozza” era cantata dai soldati siciliani nelle trincee del Carso o nella battaglia del Piave durante la guerra del 1914-18, altri affermano che veniva cantata dai garibaldini siciliani nella guerra di liberazione dai Borboni da parte di Garibaldi, dei mille e soprattutto dei patrioti siciliani.
Ascoltiamo ora la prima versione incisa su vinile.
Se non riesci a visualizzare il video clicca qui.

Per chi non parla il siciliano ecco il testo originale e la traduzione.
Vitti na crozza supra lu cannuni    Vidi un teschio sopra un cannone
fui curiusu e ci vosi spiari                        fui curioso e volli chiedere
idda m'arrispunnìu cu gran duluri       lui mi rispose con gran dolore
murivi senza toccu di campani.                sono morto senza rintocco
                                                                                        [di campane.

Si nni jeru, si nni jeru li mè anni          Se ne sono andati i miei anni
si nni jeru si nni jeru un sacciu unni                     se ne sono andati e
                                                                                        [non so dove
ora ca sù arrivatu a uttant'anni      ora che sono giunto ad ottant'anni
la vita chiamu e la morti arrispunni.                    chiamo la vita e mi
                                                                              [risponde la morte.

Cunzàtimi, cunzàtimi stu lettu            Preparatemi il letto (di morte)
ca di li vermi sù mangiatu tuttu,           che dai vermi sono mangiato
si non lu scuntu ca lu me piccatu    se non sconto qua il mio peccato
lu scuntu all'autra vita a sangu ruttu                 lo sconto all'altra vita
                                                                                     [a sangue rotto

Certo l'argomento trattato non è per niente allegro e mal si adatta (forse solo forzandolo) con quel gioioso "trallalleru" inserito nelle versioni più recenti di stampo folkloristico così pure mal si adattano le altre strofe aggiunte in seguito in cui si privilegiano le bellezze della Sicilia, il suo splendido mare e il focoso Mungibeddu (Etna).

Ecco le strofe aggiunte molto meno conosciute:

C'e' nu giardinu ammenzu di lu mari 
tuttu ‘ntissutu di aranci e ciuri 
tutti l'acceddi cci vannu a cantari
puru i sireni (pisci) ‘cci fannu all'amuri

Sentu li trona di lu Mungipeddu,
chi ietta focu e vampi i tutti i lati. 
oh bedda Matri, Matri Addulurata 
sarva la vita mia e di mia amata.

Dal punto di vista musicale esiste una versione primitiva in modalità minore, mentre quasi tutte le interpretazioni sono in modalità maggiore; a questo proposito bisogna ricordare come la modalità minore è la più consona se si considera il fatto che la modalità minore viene usata in canti tristi, dolorosi, mentre la modalità maggiore è più usata per canti allegri gioiosi, ora, considerato il tema molto triste del colloquio col teschio e con la morte, quindi un argomento triste, doloroso ben si addice la modalità minore e che, però, nel tempo, anche per motivo folkloristico ed interessi commerciali la modalità in maggiore anche con l’aggiunta del trallalleru ha prevalso sulla modalità minore, diventando così una canto da cantare in gita o con gli amici in momenti allegri e spensierati senza accorgersi per niente del tema triste e doloroso della canzone.
Il tempo della canzone iniziale era un 4/4 lento che nel tempo è diventato un 2/4 allegro, con il trallalleru.
A proposito del trallalleru, introdotto nelle versioni più recenti, non è presente in quella di Michelangelo Verso, la stessa Rosa Balistreri, la punta di diamante del canto siciliano, non volle mai cantare questa canzone. 
”Vitti na crozza” rimane comunque una canzone che rispecchia l’animo siciliano, che guarda al passato, alla sua storia, alle tradizioni, all’animo spesso malinconico dei siciliani sfruttati, privati della libertà e oppressi e dominati da vari popoli ma sempre pronti a prendere il meglio dei dominatori, anzi a unire la propria cultura con quella dei dominatori arricchendo così la cultura siciliana e proiettandola così alla modernità e al futuro.
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